Jerzy Kukuczka è stato uno dei più grandi scalatori della storia. Tatrista, alpinista, himalaista, è stato il secondo al mondo a scalare tutti gli ottomila dopo Reinhold Messner.
Un racconto fatto di montagne, povertà e di scalate verso l'impossibile.
Introduzione
Su questo blog racconto spesso sulle montagne polacche, i percorsi lungo Karkonosze, i Beschidi e i Tatra.
Chi ama la montagna avrà sentito sicuramente parlare della fortissima squadra di alpinisti polacca. La Polonia vanta storicamente una notevole tradizione nell'alpinismo mondiale con tutta una serie di record che ne hanno forgiato la storia.
Wojcieck Kurtyka, Krzysztof Wielicki, Artur Hajzer, Andrzej Czok, Tadeusz Piotrowski, Wanda Rutkiewicz sono solo alcuni dei nomi che componevano il team polacco nelle spedizioni in Himalaya nel secolo scorso.
Tutte persone che si sono formate nelle montagne che vi racconto. Fra questi spiccava Jerzy Kukuczka.
Non ho memoria dei suoi record in quel periodo, da siciliano nato negli anni settanta conoscevo giusto Reinhold Messner per la sua grande popolarità in Italia.
Tuttavia con il tempo ho avuto modo di approfondire le grandi imprese di montagna divorando decine di libri.
Da poco ho letto la biografia di Darusz Kortko e Marcin Pietraszewski che bene approfondisce il percorso di Kukuczka.
Ho avuto modo di approfondire la sua storia leggendo le sue biografie e guardando un interessante documentario su Netflix dal titolo «Jurek.»
Chi era Jerzy Kukuczka
Jurek, così veniva chiamato come tutti i polacchi di nome Jerzy, era nato a Katowice, nel Voivodato della Slesia dove aveva vissuto e lavorato ma la sua famiglia proveniva dai Beschidi dove aveva anche casa.
Erano gli anni successivi alla guerra in una Polonia socialista e in Slesia vigeva una forte tradizione legata alle miniere. Kukuczka lavorava presso uno dei tanti istituti pubblici come elettrotecnico.
Il murales in alto, ispirato alla sua spedizione sull'Annapurna, si trova nel quartiere Bogucice di Katowice dove è in programma l'apertura di un centro himalaistico.
Le sue prime esperienze di scalata sono sui Monti Tatra dove si forma e si dimostra di una caratura fuori dal normale. Sono i luoghi dove sono nati i gruppi di alpinisti che hanno poi fatto la storia, gente tosta che aveva un solo pallino, quello della montagna, nient'altro.
Poi sono iniziati i viaggi sulle Alpi. Non era semplice perché la Polonia era un paese chiuso, era difficile ricevere i passaporti e quelli a cui veniva concesso dovevano restituirli subito dopo il rientro.
Diversi polacchi erano scappati per l'Occidente ma Kukuczka non ne aveva alcun interesse. C'era la sua famiglia, le sue montagne, il suo lavoro, in un modo o nell'altro riusciva sempre a scalarne di più alte pur tornando sempre in Polonia.
Il primo impatto con l'alta montagna era stato in Alaska, avrebbe dovuto scalare il Monte Denali. Aveva incontrato parecchie difficoltà, era tornato vivo per miracolo dopo una degenza in ospedale e un'amputazione a un dito del piede.
Quella spedizione era stata talmente dura al punto tale da venire considerato inadatto alle scalate di alta montagna. Grosso errore perché nella sua carriera era poi riuscito a dimostrare l'esatto contrario.
Successivamente Jerzy Kukuczka era riuscito a raggiungere tutti gli ottomila in otto anni, la metà del tempo che aveva impiegato Reinhold Messner.
Sette sono state raggiunte attraverso nuove vie da lui aperte (Everest, Makalu, Gashenbrum I, Gashenbrum II, Nanga Parbat, K2 e Manaslu), quattro invernali (Dhalaugiri, Cho Oju, Kanchenjunga e Annapurna) di cui tre raggiunte per la prima volta e primo a raggiungerne due, il Dhalaugiri e il Cho Oju nello stesso inverno nel 1985.
Gli sforzi per ottenere i fondi per le spedizioni
Kukuczka poteva contare solo su contributi pubblici. In Polonia c'era il socialismo, lavorava come elettrotecnico, doveva ottenere fondi statali, non erano consentite attività lavorative private, sarebbe stato capitalismo.
Per arrotondare verniciava i camini delle miniere grazie proprio alle sue capacità alpinistiche. I fondi andavano all'associazione alpinistica di cui faceva parte con cui finanziavano le spedizioni.
Nella sua storia ci sono racconti di materiali scadenti, alcuni creati artigianalmente, non aveva accesso alle attrezzature occidentali e comunque non sarebbe stato di acquistarli. Ogni picozza, corda e gancio da scalata era considerato un bene prezioso.
È stata proprio una corda a causare la sua morte sulla pericolossima parete meridionale del Lhotse mentre scalava con Ryszard Pawłowski. È il 24 Ottobre del 1989, la corda si spezza e Jurek vola per tremila metri nelle profondità. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Rivalità con Reinhold Messner
Nelle varie interviste ho sentito insistere sul fatto che non esisteva alcuna rivalità fra di loro.
Da quello che ho letto, la rivalità c'era eccome. Entrambi volevano essere i primi a scalare tutti gli ottomila e per raggiungere il record si erano spinti ben oltre i limiti umani.
I mezzi a disposizione erano ben differenti. Messner aveva scalato il suo primo ottomila nel 1970 sul Nanga Parbat nella drammatica spedizione che portò alla morte del fratello Günther. Non aveva alcun supporto dallo Stato ed era finanziato da sponsor privati.
Tuttavia nei racconti letti ho sempre notato un notevole reciproco rispetto. Dalle loro parole ho notato che ciascuno era consapevole della grandezza dell'altro. Kukuczka non aveva esisato a inviare un telegramma a Messner una volta ricevuta la notizia del raggiungimento del suo ultimo ottomila proprio sul Lhotse. Lo stesso aveva fatto Messner quando Kukuczka ha scalato il suo ultimo ottomila, lo Shisha Pangma.
Interessante il loro primo incontro. Si trovavano presso il bivacco di Namche Bazar in Nepal. Messner viene invitato a bere una tazza di tè e lui accetta di buon grado. Parlando del Nanga Parbat, Kukuczka riferisce di aver trovato una torcia in salita. Poteva appartenere al fratello Günther e a quel tempo Messner era stato ingiustamente accusato di averlo abbandonato. Avrebbe potuto essere una prova importante per smontare le accuse. Tuttavia al ritorno in Polonia Jurek non riuscì più a trovarla.
Naturalmente esistono le correnti di pensiero su chi era più forte. Personalmente ritengo sia impossibile stabilirlo. Entrambi hanno superato più volte il limite della resistenza umana, affrontato condizioni pazzesche. Non può essere certo un blogger come me a stabilirlo.
Quando un uomo raggiunge tutti gli ottomila con le attrezzature degli anni settanta e ottanta, senza ossigeno, in alcuni casi in inverno e talvolta aprendo nuove vie, allora bisogna solo avere rispetto per le loro grandi imprese senza esprimere giudizi.
La squadra polacca
Kukuczka ha avuto modo di scalare con i più forti. Gente tosta, formatasi sui Monti Tatra, che hanno vissuto l'alpinismo in un periodo storico particolare.
Ritengo che l'avere accanto a sé alpinisti di questa caratura deve essere stato di grande aiuto a Kukuczka per il successo delle spedizioni.
Eppure era lui il trascinatore, colui che li spingeva all'impossibile. Certo alcuni record hanno avuto tragiche conseguenze come la morte di Andrzej Czok sul Kanchenjunga o di Tadeusz Piotrowski sul K2, ma erano dei grandi himalaisti e sapevano che il raggiungimento di certe vette comportava dei rischi non indifferenti.
Rapporto con Wojciech Kurtyka
Insieme formavano la coppia più forte, eppure si tratta di persone sostanzialmente diverse fra loro.
Kukuczka era uno diretto, molto cattolico, sosteneva che «una volta pagata la spedizione, la cima andava raggiunta», un carro armato inarrestabile. Aveva ben altri interessi rispetto a Kurtyka, decisamente più attento, interessato alla cultura orientale pragmantico e con concetto della montagna più filosofico.
Krzysztof Wielicki aveva raccontato che «se ci fossero stati due Kukuczka in una spedizione si sarebbero presto suicidati per la loro follia, mentre due Kurtyka non avrebbero raggiunto mai nessun obiettivo importante. Entrambi si completavano a vicenda.» Penso che questo concetto chiarisca bene il rapporto fra i due.
Provo a pensare il passare giorni interi in alta montagna, bloccato nel campo a causa del maltempo, dividendo la vita e la morte con una persona con cui non si ha niente da dire appare alquanto inquietante.
Eppure insieme, fra le varie spedizioni hanno scalato il Gasherbrum I e II aprendo nuove vie in stile alpino e il massiccio del Broad Peak.
Rapporti con la famiglia
Jerzy Kukuczka aveva moglie e due figli. Non intendo entrare nel merito delle loro scelte perché esistono degli equilibri che non riguardano il mondo esterno.
Tuttavia immagino che il percorso che lo ha portato a così tanti record deve essere stato doloroso per lui e per i suoi familiari.
Museo della memoria
In sua memoria, la moglie Celina ha creato un piccolo museo della memoria loro casa sui Beschidi Slesiani presso la località di Istebna.
Ho avuto modo di visitare il museo di Jerzy Kukuczka a fine 2022. Al suo interno si trovano strumentazioni per l'arrampicata, sci, foto e premi ricevuti da Jerzy Kukuczka durante la sua carriera. Grazie alla guida della Signora Celina, è possibile ascoltare da lei il racconto delle scalate del marito e anche porle qualche domanda.
Per chi non parla il polacco, è bene visitarlo con qualcuno in grado di tradurre.
Interessante notare come circa un terzo dei premi ricevuti provenga dall'Italia, in particolare da associazioni alpinistiche. È evidente l'interesse degli appassionati di montagna italiani verso la figura di Kukuczka e di quanto ha dato all'alpinismo mondiale.
Essendo il museo non finanziato e visitabile gratuitamente, è buona norma lasciare un contributo libero per contribuire al suo mantenimento oppure è possibile acquistare gadget come magliette o libri.
I libri su Kukuczka in lingua italiana.
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